Calcio femminile, Milan all’americana. Thomas: “Non costringiamo le ragazze a scegliere tra scuola e sport”. Lung: “Stesso stipendio degli uomini” – Calcio

Calcio femminile, Milan all’americana. Thomas: “Non costringiamo le ragazze a scegliere tra scuola e sport”. Lung: “Stesso stipendio degli uomini” – Calcio



MILANO — Il Milan americano, il cui proprietario Gerry Cardinale ha in questa fase come priorità dichiarata il nuovo stadio, punta sempre più sul calcio femminile. Il 13 marzo scorso ha ospitato un’amichevole tra la prima squadra femminile, integrata da alcune ragazze della Primavera, e la squadra universitaria di Harvard guidata da Chris Hamblin. Harvard è tra le più forti squadre degli Usa e schiera come il Milan alcune protagoniste, di diverse nazionalità, dei prossimi Mondiali in Australia e Nuova Zelanda. Il legame col soccer femminile americano è ormai consolidato per la squadra allenata da Maurizio Ganz, dopo la partecipazione dello scorso agosto alla Women’s Cup di Louisville, nel Kentucky. Negli Stati Uniti il calcio femminile è da tempo uno sport professionistico e il confronto continuo è stato caldeggiato da Elisabet Spina, che è a capo del settore femminile milanista e che ne ha illustrato agli ospiti americani il progetto tecnico, insieme all’allenatore della Primavera Davide Corti e a Michaela Fantoni, responsabile dell’area psico-pedagogica: “Le opportunità di confronto internazionale sono sempre motivo di crescita per la squadra: abbiamo aperto il nostro progetto all’estero e in particolare agli Usa, dove storicamente il calcio femminile è molto importante”. Del ruolo del calcio femminile negli Usa e in Italia hanno parlato con Repubblica due calciatrici del Milan e di Harvard: la francese Lindsey Thomas e la statunitense Ava Lung.

Lindsey Thomas, 27 anni, attaccante del Milan e della Francia, da calciatrice cosmopolita ritiene che il confronto col calcio femminile americano, molto più evoluto di quello italiano, sia stato soprattutto culturale? 

“L’obiettivo principale è stato quello di continuare lo scambio culturale calcistico tra due realtà diverse. Ma penso anche che questa amichevole sia stata molto importante per la nostra Primavera femminile, perché ha permesso alle ragazze di scoprire un nuovo modello, prendendo consapevolezza del livello di uno dei movimenti di calcio femminile più forti al mondo. Questo confronto e questa scoperta devono fare capire anche alle calciatrici più giovani quanto si debba mirare a crescere e lavorare bene, per arrivare ai livelli più alti, diventare professioniste, trovare un posto in prima squadra e chissà, magari fare anche qualche avventura all’estero”.

Il Milan di oggi è americano e attento, di conseguenza, agli sport americani nel loro complesso: quanto questo può favorire lo sviluppo del movimento femminile in Italia?

“Lo speriamo e ce lo auguriamo, dobbiamo prendere spunto da quanto succede negli Stati Uniti, guardare al modello americano per replicare magari qualche aspetto e alzare il livello anche qui in Italia. Mi riferisco anche a una maggiore visibilità e alla creazione di qualcosa di speciale per attrarre un pubblico sempre maggiore”.

In che cosa le pare soprattutto evidente il gap rispetto agli Usa?

“Lì le calciatrici sono più strutturate, la preparazione è per il momento più alta rispetto all’Europa e all’Italia, ma qui stiamo sicuramente crescendo. Il fisico conta tanto, soprattutto nei contrasti. In America sono più avanti sotto quel punto di vista, noi invece lo siamo a livello tecnico e tattico. Ma anche il loro livello tattico non è male, altrimenti non avrebbero potuto vincere così tanto come Nazionale. Il divario fisico, però, non è l’unica differenza. Vedo anche un gap legato all’entusiasmo che il calcio femminile genera negli Usa: dobbiamo lavorare ancora di più sulla strategia, per portare più tifosi a vedere le nostre partite”.

Ma il sistema scolastico e universitario italiano resta poco integrato con lo sport, a differenza dell’America: qual è la riforma più urgente?

“Serve più consapevolezza del fatto che lo sport può essere un aiuto per lo studio. Non dobbiamo mettere gli studenti davanti alla scelta tra studio e sport, dovremmo pensare a modelli che permettano di portare avanti entrambe le strade per chi vuole percorrerle”.

Il perenne confronto col calcio maschile, in Italia, è per voi uno stimolo o una penalizzazione?

“Forse è più una penalizzazione: facciamo lo stesso sport, ma fisiologicamente uomini e donne sono diversi e non potremo mai avere la stessa potenza di un uomo o la stessa velocità. Il tifoso non deve pensare di vedere una partita di calcio femminile con l’idea di guardare in campo Ibrahimovic o Theo Hernandez o altri, perché non avremo mai la stessa intensità e non è giusto essere messe sempre a confronto. È questo confronto che porta poi ai commenti banali e ai luoghi comuni per cui una donna non può e non deve giocare a calcio ma stare in cucina. È necessario invece guardare altre caratteristiche: le nostre specificità come la tecnica, la tattica perché è qui che facciamo lo stesso sport e questo vale per tutte le discipline sportive”.

Lei è arrivata al vertice, fino alla Nazionale francese: con quali ostacoli? 

“Ho iniziato sia giocando a calcio sia facendo atletica, quando ancora ero in Guadalupa. Poi, a 15 anni, sono partita per la Francia lasciando la mia famiglia per inseguire il mio obiettivo, quello di diventare una calciatrice professionista. L’ho raggiunto in Italia, scoprendo culture e Paesi diversi come Francia, Svizzera e appunto Italia. È stato un percorso lungo, non sempre facile, ma penso che quando vuoi davvero qualcosa non c’è nulla che ti può e ti deve ostacolare”.

La parità salariale con gli uomini, raggiunta negli Usa, sarebbe un’utopia: quanto è stato importante il riconoscimento del professionismo e qual è ora l’obiettivo nuovo più plausibile per il movimento femminile in Italia?

“Finalmente ora io posso dire: sono una calciatrice professionista come i colleghi uomini. Questo status cambia anche il modo di vedere noi atlete da parte di chi prima esprimeva solo critiche. D’altronde abbiamo sempre giocato a calcio, ma ora siamo legittimate a farlo agli occhi di tutti, non solo ai nostri. La parità salariale sarà difficile, è un discorso che riguarda anche il business, gli sponsor, il mercato. Non arriveremo lì, ma uno degli obiettivi è quello di avere condizione adeguate ai sacrifici che stiamo facendo per la nostra professione, che è anche la nostra passione. Un passo importante portato dal professionismo è stata l’eliminazione del tetto salariale. E le critiche nei nostri confronti sono diminuite”.

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Ava Lung, 24 anni, centrocampista di Harvard, che cosa ha significato per voi, che rappresentate un movimento calcistico all’avanguardia per vittorie e pubblico questo viaggio in Italia, dove il calcio femminile non ha un sèguito e un business paragonabile ai vostri?

“Questo viaggio è stato speciale perché ci ha  permesso di giocare in un ambiente altamente competitivo, sperimentando diversi stili di calcio e una nuova cultura”.

Il calcio femminile negli Stati Uniti è uno sport di vertice, con 4 Olimpiadi e 4 Mondiali vinti: qual è la ragione del successo?

“Direi che le ragioni sono essenzialmente due: l’attenzione allo sviluppo del calcio giovanile e le molte risorse disponibili fin dalla giovane età. Questo permette di avere un bacino più ampio di giocatrici da cui scegliere”.

Ma perché negli Usa ci sono così tante ragazze che giocano a calcio, preferendolo ad altri sport classici americani?

“Anche qui le ragioni basilari sono due: la crescente copertura mediatica del nostro sport e la sua popolarità, probabilmente anche perché è più accessibile rispetto ad altre discipline. Non dimentichiamo l’effetto trainante della nazionale e delle sue vittorie: le calciatrici della squadra Usa rappresentano un forte modello per le ragazze più giovani”.

Una delle chiavi della svolta è storicamente la legge del 1972 che introdusse il calcio nelle scuole: qual è il rapporto tra calcio e scuola-università?

“Harvard è un esempio chiarissimo. Con l’introduzione del Titolo IX, il calcio ci ha dato l’opportunità di frequentare un’università così prestigiosa, pur continuando a praticare questo sport ad alto livello. Tutte noi crediamo che sia importante potere raggiungere i propri obiettivi accademici e nello stesso tempo quelli sportivi”.

La parità di retribuzione, in Italia, sarebbe molto difficile anche per le calciatrici della Nazionale: vi sentite pioniere per l’Europa?

“Crediamo che la parità di retribuzione sia estremamente importante ed è incredibile vedere quanta strada abbia fatto il calcio femminile. Ma c’è ancora molto spazio per migliorare. Tutte le calciatrici meritano di avere pari voce e pari retribuzione e speriamo che l’Italia e altri Paesi siano in grado di raggiungere questo obiettivo nel prossimo futuro”.

Come valuta il livello attuale del calcio italiano?

“È stato bello sperimentare uno stile di gioco diverso rispetto al calcio statunitense ed è sorprendente vedere un talento così promettente in tutto il Paese”.



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